Antonio Marras torna a mostrarci le sue creazioni. In questo scorcio di 2022 – con una Milano per la prima volta tristemente indifferente verso la sua amata Fashion Week a causa delle scarsissime presenze in città – lo stilista di Alghero torna a raccontare le sue creazioni con un egregio shooting fotografico ad opera di Efisio Rocco e due video diretti da Elena Muresu. Le creazioni di Marras non prescindono mai da una storia, da un racconto, in cui l’artista si immerge per trarre ispirazione. Questa volta la narrazione ci porta a “Barax, una città inusuale, viva e vorticosa. Tutta colorata con una palette che ricorda i tetti di Roma o i mattoni di Siena”. La città immaginaria che, come Atlantide giace sott’acqua per divino castigo, è sprofondata dove oggi – nella realtà – possiamo ammirare il lago Baratz, unico bacino naturale sardo, avvolto da una incantevole natura e fonte di numerose leggende.

Gli abiti della precollezione AutunnoInverno 22 – girata e fotografata interamente in Sardegna nei pressi di quella zona-cuscinetto tra mare e terra nei pressi di Fertilia che è la laguna del Calich – ancora una volta hanno il sapore della leggenda, si nutrono della bellezza lacustre dei luoghi e del racconto. Le creazioni nascono da stoffe e lavorazioni preziose come i pizzi, le sete e il devoré. I tessuti sono stampati e decorati con grandi fiori, volant, rouges. Spiccano colletti bon ton applicati al knitwear. Tutto – dalle gonne, ai tailleur, alle giacche, ai megacoat – raccontano una favola romantica e dark, ordita con texture e stampe contrastanti eppure unite dalle tonalità terrose lacustri che emergono tra giunchi, alberi e stagno.

Antonio Marras, ancora una volta lei fa un omaggio commovente alla Sardegna, con le sue creazioni. Perché ha sentito di nuovo questo richiamo?

«Il mio obiettivo è più che mai quello di lavorare con gli autoctoni. Abbiamo fatto due video specifici, uno sulla donna, uno sull’uomo, girati interramente in Sardegna, esattamente nei pressi del Calich che è lo stagno vicino all’aeroporto di Fertilia. È l’unico stagno naturale sardo e sfocia in mare, ricco di atmosfere, flora e fauna particolarmente suggestive e affascinanti. Abbiamo voluto come protagonisti una ragazza di Sassari, che fa la modella, e tre ragazzi, due di Cagliari e uno di Alghero. Anche la regista dei video è di Alghero. Voglio sempre di più esaltare, accrescere, sviluppare e far progredire le realtà delle persone che vivono, lavorano e producono in Sardegna».

La pandemia sta segando le gambe a tante attività e troppe di queste si fanno davanti a uno schermo chiusi in casa. Come sta vivendo questa situazione?

«Sono abbastanza preoccupato. A maggior ragione e sempre di più ho voglia di coinvolgere persone e vivere situazioni che ho vicino. Abbiamo visto sotto Natale: tutto l’indotto che ci si aspettava non è arrivato».

Da cosa è partito per ideare la precollezione?

«Sono partito da un piccolo frammento di una vecchia tappezzeria francese, dalla quale ho ricavato tutta quella stampa a fiori che si vede nelle foto e nei video. Da lì ho continuato a scegliere una palette di colori che vanno dal celeste al giallo acido, al fucsia, usando volumi e dimensioni molto grandi».

Perché questa volta ha scelto lo stile over così accentuato?

«Mi piaceva dare l’idea di cose che ti potessero proteggere. Viviamo un momento in cui abbiamo bisogno di essere coccolati e protetti da quello che viene da fuori, quindi ho immaginato una protezione, una coperta di Linus, un mantello, una cappa…. “Abito” e “abitare” hanno la stessa matrice, quindi è bello portarsi addosso una casa che ci tiene, ci protegge, ci accoglie».

Questa volta il racconto che guida la collezione è particolarmente incentrato sul lavoro sartoriale, tutti a Barax erano “sarti e sarte dalle mani straordinarie che realizzavano tailleur pantaloni, abiti lunghi, gonne corte e ampie mantelle…”. È quasi una meta-storia?

«C’è sempre più bisogno di unicità: di pezzi unici, di cose fatta a mano. C’è bisogno di qualcosa che si differenzi da quanto si compra a pochissimo prezzo e poi si butta. Quello che abbiamo sempre cercato di fare è di evitare questa filosofia, questo comportamento. La cosa più bella che io sento dire dalle mie clienti è “ho un cappotto tuo che ho comprato vent’anni fa e lo tengo ancora nell’armadio e periodicamente lo rimetto”. Mi sembra il più bel complimento in assoluto».

Come è stato lavorare, creare con quest’aria che respiriamo, inedita e cupa?

«Sarò sincero. Essendo io così bipolare, ho questa capacità di estraniarmi da tutto quando faccio le cose che mi piacciono: disegnare, lavorare con i tessuti, lavorare con le ceramiche, mi permette di isolarmi e così mi estraneo veramente da tutto. Mi immergo in questo lavoro. Le cose che sto facendo sono la mia droga: non drogandomi davvero “mi inietto” tessuti, “mi inietto” ceramica, “mi metto in vena” colori e materiali vari, ed è la cosa che mi aiuta veramente ad andare avanti. Con questo non voglio dire che io viva in un mondo parallelo, anzi: il mio lavoro non prescinde mai da quello che succede nel mondo. L’Afghanistan, per dire, non è un Paese esotico, è un luogo martoriato, sofferente. Non vivo nel paese dei balocchi: ciò che succede nel mondo influenza tutto quello che faccio».

Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage

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