La prima l’ha sollevata lui, la seconda pure. Le due coppe Italia conquistate dalla Dinamo hanno in calce la firma di tante stelle, dai Diener a Logan, da Caleb Green a Sanders, ma la “certificazione” finale è Manuel Vanuzzo che alza al cielo il trofeo e viene sommerso dall’abbraccio dei compagni di squadra.
«Se mi chiedi qual è il primo flash che mi viene in mente di quei due trionfi, è proprio il momento della vittoria», racconta il capitano della Dinamo più vincente di sempre. Dal magico weekend di Assago sono trascorsi esattamente 8 anni, dal trionfo di Desio ne sono passati 7, ma le immagini sono ancora nitide.
«Ad Assago eravamo andati “giusto per”, eravamo di passaggio – dice Vanuzzo, che oggi ha 47 anni e a Sassari dirige la struttura sportiva dello Sporting Milano 26 –. Si arrivava da momenti di alti e bassi, eravamo alla Final Eight con poche aspettative. E poi col tipo di squadra che avevamo, eravamo sempre un’incognita, per gli altri ma anche per noi stessi. Non eravamo mai facili da affrontare, il talento era tanto ma andava anche gestito nel modo giusto. Ed è stato quello il capolavoro di Meo Sacchetti, come abbiamo sempre detto».
Insomma, la Dinamo non era partita per vincere. «No, tutt’altro. Infatti eravamo davvero molto leggeri a livello mentale, come tutte le volte che abbiamo vinto qualcosa di importante. La prima Coppa Italia è stata la più bella, oltre alla promozione dalla Legadue non avevamo vinto nulla, e quel momento storico resta più impresso nella memoria. La seconda è stata altrettanto importante e bella, ma la prima volta non si scorda mai».
Meo, Drake, Travis, Caleb, lo spogliatoio, la società, l’ambiente. Qual è stato l’elemento decisivo per quel primo trionfo? «Dico tutto, ma tralasciando le incredibili prestazioni di Drake Diener, secondo me il gruppo ha fatto la differenza. Quando hai 6-7 americani è difficile metterli insieme, avere due americani “europei” come i Diener ha fatto la differenza per far sì che anche gli altri si integrassero con il resto del gruppo».
Anche stavolta la Dinamo arriva alla Final Eight con poche aspettative. E anche stavolta ai quarti c’è Milano. «Sì, ora sono in una condizione simile alla nostra del 2014 – dice Vanuzzo, che ha giocato con le Scarpette rosse dal 2002 al 2004 – ed è giusto che se la giochino serenamente. C’è solo una cosa: ogni anno si dice che Milano è imbattibile e poi magari vince qualcun altro, ma forse l’Olimpia quest’anno è davvero fuori classifica. Anche in Eurolega si vede che ha qualcosa in più, penso che abbiano trovato la quadra giusta. Però la Dinamo nelle ultime partite, con l’arrivo di Robinson e Bucchi, ha cambiato marcia, giocano bene e hanno trovato una certa mentalità. Ripeto, sulla carta Milano è superiore, ma il bello della coppa Italia è che in gara secca può sempre succedere di tutto. Di certo la Dinamo non ha nulla da perdere e avere la testa leggera è un bel vantaggio».
Il suo “gemello” Jack Devecchi, che ha ereditato i gradi di capitano, è ancora sulla breccia. E in questi anni ha avuto a che fare con un compito forse più complicato, a livello di spogliatoio. «L’ultimo anno, con 8 americani non è stato mica semplice… All’epoca i casini non mancavano, ma quando le cose vanno bene in campo è tutto più facile. Jack è stato bravo in questi anni a tenere unito il gruppo anche nei momenti più complicati. Il vero capitano si vede nei momenti di difficoltà».
Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Archivio
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