Glielo avevano detto i colleghi che sarebbe stato qualcosa di travolgente. «Di più, vedere il film di GiuseppeTornatore sul maestro è stato uno shock. Meno male che mentre scorrevano le immagini ero seduto, mi avrebbero ceduto le gambe». Simone Pittau, violinista e direttore d’orchestra con alle spalle una carriera stellare, parla con commozione del maestro Morricone a cui è dedicato il documentario intitolato “Ennio”, che racconta la straordinaria vita di un compositore geniale, autore di oltre 500 colonne sonore per il cinema stampate per sempre nell’immaginario collettivo di tutto il mondo, due volte premio Oscar.

Ed è normale che Simone Pittau sia particolarmente emozionato per questo ricordo visto che, dal 2003 e per 17 anni, fino a pochi mesi dalla scomparsa del maestro nel 2020, ha lavorato con lui nell’orchestra “Roma Sinfonietta” come violinista. Così, ha atteso con ansia di poter vedere il film, in sala dal 17 febbraio, qui in Sardegna (nel cinema più vicino a Sanluri, sua città d’origine dove vive con la famiglia) e, oltre a ripercorrere la storia meravigliosa del suo mito si è riconosciuto in parecchie immagini in cui venivano mostrati momenti dei concerti che con l’orchestra e con Morricone sul podio, venivano eseguiti in tutto il mondo.

«Mi sono rivisto in un bellissimo concerto in piazza San Marco, poi in un altro in Cile e diversi nell’Arena di Verona traboccante di pubblico. Ma era sempre così. Dovunque andassimo non c’era persona che non lo conoscesse, tutti ricordavano con emozione le sue musiche. Lo adoravano. Le tournée che abbiamo fatto insieme sono state memorabili, un’esperienza meravigliosa – racconta Simone –. D’altra parte era un genio: ha letteralmente inventato un nuovo linguaggio musicale per il cinema. La musica ce l’aveva nella testa tutto il tempo, infatti appariva come distante, sempre assorto in un mondo tutto suo, silenzioso ma gentile. Perfezionista come nessun altro. Le prove infatti erano come un concerto vero e proprio. In chiusura eravamo sfiniti. Anche lui. Si dimenticava di mangiare, una volta aveva avuto un malore per la stanchezza. Glielo dicevo sempre: maestro deve mangiare un po’ di più, dirigere un’orchestra è faticoso. Ma lui aveva altro per la testa».

Un rapporto, quello di Simone Pittau con il maestro Morricone, che pian piano è diventato confidenziale, affettuoso anche se si sono sempre dati del lei. «Lavoravo a Roma come concertista, spesso con Fausto Anselmi, prima viola nell’orchestra di Morricone. E fu lui a dirmi: perché non gli mandi il tuo curriculum. Avevo già diretto la London Simphony Orchestra e avevo all’attivo diverse esperienze e collaborazioni importanti così mi sono deciso. Ho inviato il fax e neanche il tempo che arrivasse mi hanno chiamato e preso». Simone si è avvicinato con discrezione al grande musicista ed Ennio ha sempre dimostrato interesse per la sua vita tanto che lo chiamava a casa per avere sue notizie e se non lo vedeva in orchestra gli chiedeva quando sarebbe tornato. «Conservo con orgoglio una lettera che mi scrisse di suo pugno quando gli diedi il disco che avevo inciso con la London anni prima – racconta –. Lo infilò nella sua borsona piena di partiture che si portava sempre dietro e non mi disse niente per qualche tempo. Poi mi arrivò il biglietto scritto con la sua bellissima grafia e con parole di lode che hanno rappresentato per me una gioia immensa».

Tanti anni passati insieme e tanti aneddoti, molti dei quali coincidono con quelli narrati dallo stesso compositore davanti alla cinepresa usata con maestria da Giuseppe Tornatore. «Morricone ha avuto due incontri fondamentali per la storia della musica del XX secolo: il primo con il regista Sergio Leone per il quale ha inventato un nuovo modo di far risuonare le immagini cinematografiche, il secondo con il premio Oscar Tornatore. Ricordo sempre un giorno in cui ci trovavamo in sala d’incisione per il film “Barìa” e Giuseppe ci interruppe per dire al maestro che quel brano secondo lui non esprimeva la drammaticità della scena. Morricone rispose non c’è problema e, improvvisando con davanti un’orchestra di 90 elementi, cambiò tutto in 5 minuti. Restammo di sasso».

Racconti che testimoniano la genialità di un musicista che creava partiture rivoluzionarie senza neanche rendersene conto. Anzi, con il complesso di colpa di aver tradito i suoi studi essendosi prestato al cinema, come viene narrato meravigliosamente nel docufilm. Un dilemma, il suo, smentito dal tributo universale al valore immenso delle sue composizioni. «Si sente eccome la sua mancanza – conclude Pittau –, soprattutto in un Paese, l’Italia, che ha il vizio di dimentica troppo presto».
 

Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage

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