SASSARI. Un 2021 da bollino rosso. Che ha decimato le imprese dell’Isola, picchiando più duro che mai sul commercio al dettaglio, particolarmente nelle medie e grandi città. Con una serranda ogni 1000 abitanti che si è abbassata, 1.325 attività che hanno chiuso, e le 923 nuove iscrizioni che hanno rallentato l’emorragia ma nulla hanno potuto per evitare la perdita di 700 posti di lavoro.Attività che smettono di pompare sangue, soprattutto in centri cittadini desertificati, travolti dal degrado edilizio, ambientale, economico, sociale, da una musealizzazione a cui non segue attrattività turistica, dall’inefficienza dei servizi locali, dall’inadeguatezza dei “carichi” urbanistici.

È un quadro drammatico quello che viene fuori dai numeri, elaborati dall’osservatorio Confesercenti sui dati del registro delle imprese, presentati ieri a Sassari, nell’aula magna dell’Università, in occasione della presentazione dello studio «Liberalizzazione del commercio: la sfida della re-regulation» realizzato da Uniss e Confesercenti regionale. Studio che bene evidenzia che i problemi del settore arrivano da lontano, e che la pandemia ha causato solo l’accelerazione di criticità innescate, a oltre venti anni dal decreto Bersani e a quindici anni dalla direttiva Bolkestein, da un male interpretato concetto di liberalizzazione, in cui ha prevalso la logica del laissez faire e l’errata convinzione che libertà d’impresa significhi assenza di regole. Con enti locali e Regione che hanno finito per abdicare al loro ruolo rinunciando a «importanti prerogative di intervento». A provare a indicare una via di uscita il lavoro congiunto, presentato dal rettore Gavino Mariotti, dall’ordinario di Diritto amministrativo Domenico D’Orsogna, e il presidente regionale dell’associazione di categoria, Roberto Bolognese.

«L’ennesima testimonianza del ruolo che l’università di Sassari intende giocare – ha sottolineato Mariotti – mettendo a disposizione le sue competenze, docenti e ricerche per perseguire un percorsi sinergico di crescita del territorio e della Sardegna».Ma prima i numeri declinati da Bolognese. «A salvarsi sono stati solo i bar e i ristoranti che, con 496 aperture e 474 chiusure, hanno fatto registrare un saldo positivo di 22 attività. La media nell’Isola parla di 0,8 imprese chiuse ogni mille abitanti. Dato che peggiora sensibilmente nelle città con più di 30 mila abitanti, dove la media è di 1,2 imprese chiuse per mille abitanti. L’incidenza peggiore si registra a Olbia, con 1,7 chiusure ogni mille abitanti. Anche i dati medi regionali per i pubblici esercizi cambiano sensibilmente nei centri con oltre 30mila abitanti. A una media di 0,3 chiusure, si contrappongono i dati di Alghero (0,54) e Olbia (0,44)».

«Il problema – continua Bolognese – è che il comparto viene da decenni di difficoltà e per ripartire necessita di risorse importanti e continuative. La manovra di bilancio regionale per il 2022 ha previsto uno stanziamento di 30 milioni di euro a sostegno degli investimenti nel commercio e pubblici esercizi, la speranza è che non si tratti di uno stanziamento isolato».

Le occasioni in campo esistono, a iniziare dal Pnrr, con i suoi progetti di rigenerazione urbana e qualità dell’abitare. «Ma tutto deve inevitabilmente partire da una revisione della legislazione regionale affiancata da un dialogo stabile con le amministrazioni, le comunità e gli operatori sul territorio – ha sottolineato Domenico D’Orsogna – in una soluzione che non può essere definitiva ma da calare in ogni diverso contesto e ricalibrare in continuazione».Una partita per la vita che il commercio isolano non può permettersi di perdere.

Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage

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