SASSARI. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, in una delle sue più recenti apparizioni, ha fatto sentire dal suo smartphone il suono delle sirene antiaeree, quelle che annunciano i bombardamenti. La registrazione di quel suono non potrà mai rendere l’idea di quello che si prova sentendolo di persona, con la consapevolezza che da un momento all’altro si sentiranno i rumori dei motori degli aerei e il frastuono dei bombardamenti. L’ululato della sirena è così forte che ti entra nelle ossa e l’istinto è quello di scappare, nascondersi, trovare un rifugio. Il dramma che stanno vivendo gli abitanti delle città ucraine bombardate dai russi, è lo stesso vissuto dagli italiani durante la seconda guerra mondiale. Oggi come allora, per avere speranze di salvarsi bisogna raggiungere al più presto un rifugio antiaereo.

Sassari, come tutte le città italiane, tra il 1941 e il 1943 si dotò di numerosi ricoveri antiaerei pubblici. Strutture sotterranee realizzate scavando nella roccia viva, che esistono ancora oggi, anche se in pochi sanno della loro esistenza. Gli ingressi di quasi tutti questi ambienti sotterranei, negli anni sono stati chiusi, e oggi, salvo alcuni esperti o appassionati di storia, ben pochi sanno dove si trovino, quanti siano e quante persone potessero ospitare. Grazie al libro del professor Antonio Murziani, “La Sassari sotterranea – I rifugi antiaerei”, monumentale lavoro di ricerca durato anni, siamo oggi in grado di ricostruire la mappa di tutti i ricoveri antiaerei pubblici della città.

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I rifugi pubblici e privati. Bisogna fare una distinzione tra le varie tipologie di ricoveri. I principali sono quelli pubblici e, come spiega il professor Murziani, furono costruiti a cura di Enti pubblici e servivano a ospitare le persone che si trovassero per strada al momento dell’attacco aereo. Poi ci sono quelli privati. All’inizio degli Anni 30 del Novecento il ministero dell’Interno diede disposizioni perché in ogni nuovo edificio venisse realizzato un ricovero antiaereo. Molti cittadini, realizzarono comunque ripari all’interno dei propri giardini oppure utilizzarono le vecchie cantine scavate nella roccia. Un rifugio che esiste ancora oggi si trova nel giardino dell’abitazione della famiglia Baggi Sisini, in via Bellieni, che abbiamo potuto visitare e fotografare (e per questo li ringraziamo). Un altro rifugio esisteva nel giardino accanto, di pertinenza del palazzo della famiglia Nonis-Altara, in via Roma, ma dopo la guerra fu riempito di terra. Destino, questo, comune a tanti ricoveri antiaerei della città, come racconta il professor Murziani. «Chi aveva un rifugio antiaereo nel proprio palazzo – spiega l’autore del libro – era tenuto a dare ospitalità a chiunque si trovasse in zona al momento dell’allarme. Questi palazzi dovevano anche esporre un cartello indicando la presenza di un ricovero antiaereo».

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Si considera che tra pubblici e privati, i buker di guerra di Sassari potevano ospitare l’intera popolazione. A Sassari erano installate quattro sirene che lanciavano l’allarme antiaereo e si trovavano: alla fine di via Roma, sotto la caserma Ciancilla, palazzo che oggi ospita la facoltà di Lettere, e che era dotato anche di una mitragliatrice antiaerea; sul campanile di San Giuseppe, a San Pietro in Silki, dove c’era un’altra postazione antiaerea, e al Masedu, in via Pascoli, anche in questo cas o era presente un mitragliatore. La città dell’epoca, chiaramente, era molto più piccola e queste sirene potevano essere udite chiaramente da tutta la popolazione. Gli allarmi, in città, risuonarono per tutta la durata della seconda guerra mondiale.

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Nel libro del professor Murziani si citano anche testimonianze dei momenti in cui la gente si precipitava nei vari ricoveri: erano momenti drammatici, durante i quali i più forti erano i primi a mettersi in salvo. I rifugi non erano il massimo del comfort, considerando che non furono realizzati seguendo alla lettera le indicazioni: non avevano latrine, acqua corrente, ventilazione. C’era giusto l’impianto elettrico, ma quasi sempre le lampadine venivano rubate, perché all’epoca erano costosissime, e quindi la gente si avventurava quasi al buio in quelle gallerie lunghe anche 150 metri. Molti cittadini non avevano neanche il coraggio di entrare nei rifugi, e cercavano riparo in altri modi. Al contrario di tante altre città italiane, ma anche della stessa Sardegna, Sassari subì un solo bombardamento, che il 14 maggio 1943 provocò la morte di 3 persone, più una quarta che morì in seguito per le ferite riportate. Alcuni dei rifugi antiaerei sassaresi potrebbero essere recuperati, aprendoli anche al pubblico, magari in occasione di eventi culturali, come avviene a Milano e in altre grandi città.

LA MAPPA DEI BUNKER DI GUERRA. Grazie al libro del professor Antonio Murziani, pubblicato dalla casa editrice Edes di Sassari, oggi siamo in grado di dire esattamente dove si trovassero, che dimensioni avessero e quante persone potessero ospitare tutti i rifugi antiaerei pubblici realizzati tra il 1941 e il 1943. Ecco un elenco sintetico dei ricoveri antiaerei sassaresi: Via Roma, Caserma Ciancilla (oggi Facoltà di Lettere). Rione Cappuccini, tra viale Mameli e viale Caprera, con gli ingressi ancora visibili tra le scalinate di via Eleonora d’Arborea e via Enzo. Piazza Duomo, casa Marghinotti. Via Manno e via Enrico Costa. Via Pietro Micca. Piazza Tola, uno dei più grandi, poteva ospitare 1200 persone e aveva un ingresso al Corso. Viale Umberto, sede del partito fascista. Viale Italia – via Sardegna, accanto al Policlinico. Piazza Rosello. Via Roma, Museo Sanna, aperto al pubblico alcuni anni fa in occasione di Monumenti Aperti, proprio grazie al professor Murziani. Piazza Colonna Mariana. Piazza Castello, passa accanto al barbacane del Castello, è parzialmente invaso dai liquami fognari, per lunghi tratti è pulito e imponente, con gallerie enormi. Viale Mancini, Istituto scientifico Università. Via Muroni, Facoltà di Farmacia. Viale San Pietro, Cliniche. Piazza Università, Università centrale. Via Duca degli Abruzzi, ex istituto di Veterinaria, oggi Accademia di Belle Arti. Piazza d’Italia – viale Umberto, palazzo della Provincia. Viale Dante, parte alta. Viale Dante, Genio Civile. Via Dei Mille, via Monte Grappa, via Principessa Maria. Viale Umberto, caserma dei carabinieri. Tra via Piave e via Savoia, uno degli ingressi murati è visibile dalla strada. Piazza Sant’Antonio. Porta Nuova, piazza Università, esplorato qualche anno fa dagli speleologi, è allagato. San Donato. Piazza Fiume, distrutto quasi completamente dallo scavo per il parcheggio interrato. Piazza Azuni, Intendenza di Finanza. Parco di Monserrato. A questo elenco andrebbero aggiunti gli svariati rifugi realizzati dai privati, ma anche le cantine adattate allo scopo, e i numerosi ricoveri paraschegge che erano stati realizzati all’epoca nei portici (piazza d’Italia, piazza Sacro Cuore) e nei numerosi archivolti del centro storico. Questi ripari potevano essere utilizzati qualora non si fosse stati in grado di raggiungere un rifugio aereo vero e proprio in tempi ragionevoli.

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L’INTERROGAZIONE «UN PATRIMONIO DA VALORIZZARE». Il tema dei rifugi antiaerei, in questo periodo, è di estrema attualità e sulla necessità di recuperare e valorizzare questo straordinario patrimonio storico è intervenuto sabato scorso, con una interpellanza, il consigliere comunale Mariolino Andria. «Nella città in cui viviamo esiste una immensa Sassari sotterranea caratterizzata da almeno 30 siti tra rifugi antiaerei e ricoveri sotterranei. Molti di questi corredati da progetti, relative piante e percorsi. Una ripresa di interesse e la valorizzazione di questi siti potrebbe aumentare l’attrattività della città dal punto di vista storico, identitario e turistico. Si interpella il sindaco e la sua giunta affinché si possano fornire al consiglio e alle commissioni competenti notizie, studi e documentazioni. Tutte utili per predisporre, su iniziative dell’amministrazione, un piano di valorizzazione e fruibilità di questo patrimonio».

Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage

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