Attore poliedrico, e in questo senso meno legato al concetto di maschera degli altri colonnelli della commedia all’italiana (Sordi, Gassmann, Manfredi), nei circa 150 film a cui ha preso parte Ugo Tognazzi ha ricoperto i ruoli più diversi. Anche quello di un bracciante sardo nel lungometraggio “Una questione d’onore”, diretto da Luigi Zampa nel 1965, nell’unica esperienza cinematografica isolana per il grande interprete cremonese di cui si festeggia il centenario della nascita.

Un film ricordato non tanto per il valore, davvero modesto, ma per le polemiche che scatenò allora in Sardegna: fu addirittura sequestrato per un breve periodo dalla procura di Cagliari perché «offensivo del comune senso del pudore». A pensarci ora fa un po’ sorridere tale indignazione, anche se il film girato soprattutto nella zona di Orosei presentava tutti i luoghi comuni sulla Sardegna in chiave ironica e si può capire venisse visto da più parti come un’opera per certi versi razzista.

Tognazzi, il cui personaggio si chiama Efisio Mulas, è affiancato dall’affascinante Nicoletta Machiavelli che sarà poi protagonista di altri due film girati nell’isola: “Scarabea – Di quanta terra ha bisogno un uomo?” e soprattutto “Giarrettiera Colt”.

L’attore non lavorerà invece altre volte in Sardegna, ma incrocerà nella sua carriera un regista sardo, il cagliaritano Nanni Loy. In particolare sotto la sua direzione recita in “Il padre di famiglia”, scritturato per il ruolo inizialmente affidato a Totò morto all’inizio delle riprese, e per “Amici miei – atto III”, il terzo e ultimo capitolo della famosa saga che nei precedenti film vede alla regia Mario Monicelli. La parte del Conte Mascetti, il nobile decaduto dallo spirito goliardico come i suoi quattro amici sempre pronti a scherzare, resta grazie alle indimenticabili supercazzole forse la più iconica della lunga carriera di Tognazzi.

Un percorso artistico che nel cinema inizia nel 1950 con “I cadetti di Guascogna” di Mario Mattoli e conosce una prima tappa fondamentale, di svolta, con “Il federale” di Luciano Salce nel 1961 dove interpreta un fanatico fascista che alla fine capisce di essere stato dalla parte sbagliata e rivede tutte le sue scelte in chiave critica. Con lo stesso Salce da ricordare anche “La voglia matta” esemplificativo del coraggio dell’attore di scegliere anche parti che potevano risultare sgradevoli: nel film interpreta infatti un industriale che si invaghisce di una ragazza molto più giovane mettendo in atto comportamenti discutibili.

Tra le altre collaborazioni importanti della sua carriera da ricordare quella con Dino Risi, in particolare “I mostri”, e soprattutto quella con Marco Ferreri: da “La donna scimmia”, straordinario nel ruolo del cinico sfruttatore, a “La grande abbuffata”, perfetto nei panni dello chef deciso a suicidarsi, per citare soltanto due titoli del fortunato sodalizio tra l’attore e l’anticonvenzionale regista.

Tra gli altri tanti suoi film non si può fare a meno di ricordare “Tragedia di un uomo ridicolo” di Bernardo Bertolucci che gli vale il premio per la migliore interpretazione maschile al Festival di Cannes del 1981, ma che si può dire segni anche la fine del suo percorso ad alti livelli. Negli anni successivi, fino alla scomparsa nel 1990, il cinema italiano non sarà più capace di offrirgli ruoli in grado di valorizzarlo, ma alcune sue interpretazioni e il suo stesso stile e carattere restano ben saldi nella memoria collettiva.
 

Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage

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