SASSARI. «Se anche mi dovessero applaudire in dieci e tutti gli altri fischiare, la mia gratitudine per il mondo Dinamo e per la Sardegna sarebbe immutata». Teso da morire, la voce rotta dalla commozione, Gianmarco Pozzecco prova a vivere mentalmente, con due giorni d’anticipo, la sua “prima” da ex al PalaSerradimigni. Domani pomeriggio, poco prima delle 17, la zona di piazzale Segni sussulterà per il ritorno a Sassari di uno dei personaggi che hanno lasciato il segno più profondo nella storia recente dello sport isolano.
Questione di feeling. L’uomo delle tante isole, che in Sicilia è stato un idolo e a Formentera ci si è trasferito per vivere, torna in Sardegna a quasi un anno dalla fine – non indolore – del suo rapporto con la Dinamo. Da esterno, come vice allenatore dell’Olimpia Milano, farà un tuffo nel catino in cui ha allenato per 840 giorni, guidando la Dinamo alla conquista di due trofei con l’impressionante bilancio di 85 vittorie in 125 partite. «Ma no, non è una questione di numeri – dice il tecnico triestino, cinquant’anni il prossimo settembre -. È una questione di sentimenti, di emozioni. Come sto vivendo questa vigilia? Sono agitatissimo, più il momento si avvicina più sono teso. La verità è che a Sassari sono stato meravigliosamente bene e ci saranno tante persone che sarò felice di rivedere, non solo dell’ambiente del basket. Perché io sono stato bene col club, con lo staff e con i giocatori, ma anche le persone che incontravo quotidianamente».
The Sardinia connection. «Da voi ho fatto una vita molto semplice, andavo a fare colazione in via Roma, facevo la spesa in piazza Fiume, chiacchieravo con la gente per strada, se andavo a Castelsardo, a Bosa o da un’altra parte venivo sempre trattato come uno di casa Sono tutte cose che mi hanno gratificato e che mi mancano tanto. Ho vissuto in ogni momento l’affetto della gente e l’entusiasmo che tutti insieme avevamo creato, ho scoperto davvero un popolo straordinario. E mi sono convinto di una cosa: la Dinamo è la Dinamo, ed è così speciale, perché è una squadra della Sardegna. Penso ora al rapporto che ho con Gigi Datome: è sardo, cosa devo dire di più?».
Baci&abbracci. «Non vedo l’ora di abbracciare i “miei” ragazzi – aggiunge Poz -, questa è la prima cosa. Ma sarò felicissimo di salutare le tante persone che mi hanno consentito di vivere bene, di stare bene. Anche Stefano Sardara? Sì, anche lui, perché mi ha dato un’opportunità e questo resta. Quando mi ha chiamato ero davvero un pensionato in pantofole davanti alla tv. Ci siamo già rivisti e l’ho salutato, lo sport è fatto di cerchi che si chiudono e di storie che finiscono, anche bruscamente, ma abbiamo il dovere di preservare quanto di bello abbiamo vissuto insieme. E poi, ovviamente tutti quelli che lavorano nel mondo Dinamo, stavolta con priorità allo staff medico: l’altra volta quando sono andato via non ho potuto salutarli e ancora mi dispiace, sono davvero grato per la loro professionalità e la loro umanità».Sarà anche il giorno del ritorno del pubblico con il 100% della pazienza: una bella coincidenza. «Se dicessi che non spero in una bella accoglienza sarei un ipocrita. Ma sono già abbastanza teso per pensare anche a questo. Se anche mi applaudiranno dieci persone, sarei comunque felice per tutto quello che c’è stato».
Rewind. Riavvolgendo il film dei suoi due anni e 3 mesi in biancoblù, c’è qualcosa che non rifarebbe? «Sarebbe stupido sostenere che, potendo tornare indietro, non cambierei nulla. Ma ci sono delle cose che succedono, e che magari ti fanno male o delle quali ti penti, ma ti permettono di crescere. Le persone vivono e commettono errori, li commetto io e li commettono gli altri. Quindi va bene così».
Più uomo, più coach. Arrivato a Sassari dopo due esperienze non esaltanti come capo allenatore, visto all’inizio quasi come fenomeno da baraccone per via del suo comportamento fuori dalle righe, in poco tempo Pozzecco ha saputo imporsi anche come un allenatore coi fiocchi, pur mantenendo un carattere esplosivo. Ora, come spalla di Ettore Messina, sta affrontando un ulteriore step della sua carriera. «Ettore – assicura Poz – è mentalità vincente, etica del lavoro e cultura della vittoria. Siamo consapevoli del fatto di essere competitivi su tutti i fronti, ed è quello che un allenatore deve mettere in piedi. Fatte le debite proporzioni, era ciò che eravamo riusciti a costruire in Sardegna, in un contesto diverso e scala diversa. La sua mentalità è unica, è tra i pochi sportivi che abbia conosciuti che abbiano quasi un’ossessione rispetto alla vittoria, e stando vicino a lui non puoi che rispettarla. Avevo fatto l’assistente di Veljko Mrsic, un amico col quale avevo condiviso momenti unici, come la vittoria di uno scudetto da giocatori, uno a cui volevo e voglio bene sul serio. Ma ho sempre pensato che per fare il vice dei voler bene al tuo capo allenatore, non devi avere altra gratificazione personale se non la sua, non c’è spazio per altro: per me è una cosa indispensabile. Con Ettore all’inizio avevo un rapporto ovviamente non paragonabile a quello che ho con Veljko, ma ora sento di volergli bene come persona: non so se sia stato un processo lungo o corto, di certo c’è voluto del tempo, ma il rapporto è cresciuto anche di pari passo con la crescita della fiducia che lui ha in me. Credo di averlo convinto di essere affidabile. Qualcuno sorride perché a volte sono io a calmare lui? Io sono focoso quanto lui, ma stare composto fa parte del mio ruolo. Quando lo vedo agitato mi dispiace, lo vorrei vedere contento e cerco di fargli vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. E per noi, onestamente, in questa stagione il bicchiere è molto pieno».
La super sfida. «Veniamo da due partite di fila in Eurolega – dice Pozzecco a proposito della gara di domani -, poi avremo lo scontro diretto che definirà la posizione nei playoff. Siamo condannati a dover vincere sempre, non possiamo fare calcoli, ma i ragazzi lo sanno e vivono questo aspetto con grande senso di responsabilità. Partiamo da favoriti e ogni partita è complicata perché tutti vogliono fare bella figura con noi, e la Dinamo non farà eccezione. È un tipo di pressione col quale devi convivere: è una delle tante cose che ho imparato da Ettore, una delle più importanti».
Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Archivio
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