TULA. Tra tutti i personaggi illustri a cui Tula ha intitolato le proprie vie, e tra questi i Savoia, a dire la verità visti non proprio di buon occhio dato che nel 2019 l’amministrazione comunale aveva provato con una delibera a cancellarne i nomi per sostituirli con altri più stimati e benvoluti, ce n’è uno che il paese invece ha sempre onorato, cullandone il ricordo con affetto, grande stima ed enorme rispetto. Si tratta di Salvatore Canalis, martire delle Fosse Ardeatine, simbolo di coerenza, libertà e coraggio.

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Rino, così veniva comunemente chiamato, nasce nel piccolo centro logudorese il 14 novembre 1908, in una casa nei pressi della chiesa di Sant’Elena, da Giovanna Maria Sanna e Raimondo Canalis, pattadese d’origine, che cercherà poi fortuna da emigrato in Sud America senza fare più ritorno. Grazie al sostegno di uno zio, il canonico Antonio Canalis, Salvatore e i suoi fratelli hanno la possibilità di studiare e affermarsi in diversi ambiti. Quello letterario è il campo scelto da Rino, che a Roma si laurea a pieni voti in lettere classiche. Sempre nella capitale, inizia presto a insegnare latino e greco al liceo ginnasio Mamiani e, a titolo quasi gratuito, nella scuola militare della Garbatella. Nel frattempo si distingue anche come fine letterato, pubblicando dei commenti ad alcune opere di Cicerone e Orazio, traducendo i primi due libri delle opere di Archimede e avviando, tra le altre cose, la stesura di un libro di letteratura latina. La vita densa di impegni e di riconoscimenti si colora a tinte vivaci grazie al matrimonio con la belga Rogine Ghevaert e, subito dopo, alla nascita dei due figli, Giovanna e Gianfranco. La pressione del regime fascista però si fa sentire, stringendo la sua morsa attorno alla classe intellettuale scomoda e molto poco allineata. Rino Canalis riesce a passare indenne i difficili tempi caratterizzati da violenze e soprusi, accettando con fastidio di far scrivere ai propri allievi la data in numeri romani che determina l’anno dell’era fascista.

Canalis guarda con estremo interesse alle posizioni del movimento Giustizia e Libertà, attratto anche dalla figura carismatica del conterraneo Emilio Lussu, e matura sempre più un ideale antifascista che si concretizzerà, all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, in occasione dell’occupazione di Roma da parte dei tedeschi. Canalis allaccia quindi i primi contatti con la resistenza partigiana ed entra nel Partito d’Azione, svolgendo attività antifascista e finanziando anche un giornale clandestino. Il 13 marzo 1944, all’invito ad aderire alla neonata Repubblica di Salò per poter continuare a insegnare, risponde in modo netto e sdegnato: «Meglio la morte che firmare l’adesione a questo governo», dice decretando di fatto la propria condanna. Il giorno dopo viene prelevato dalla sua abitazione in piazza dei Prati degli Strozzi e, portato nella pensione Oltremare di San Gregorio al Celio, trasformata in luogo di tortura, non parla e non tradisce. L’attentato di via Rasella scatena poi la rappresaglia tedesca e così l’eccidio delle Fosse Ardeatine coinvolge anche Rino Canalis, divenuto uno dei 335 martiri insieme ad altri otto sardi. Il 24 marzo viene trasferito a Regina Coeli e infine trucidato. Alla moglie che chiede notizie, il questore Caruso risponde: «Stia tranquilla, suo marito sarà sistemato tra qualche giorno». L’ultima a vedere Canalis e a dargli una tenera carezza è una donna di Tula, Caterina Campana, che lui chiamava nonna. Lei riesce a intrufolarsi tra le divise naziste e, parlando in sardo, si fa notare dal professore per dargli un ultimo e tragico saluto.
 

Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage

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