OTTANA. Il capo settore si fa avanti con passo deciso lungo il vialone che divide due file di capannoni abbandonati. Fa qualche metro evitando le pozzanghere, si guarda intorno e appena si accorge che nessuno ha intenzione di disturbare il personale si decide a dare il suo benvenuto. Scodinzolando a tutto motore.

Il “capo settore” ha il manto bianco con pezzature nere e un’aria un po’ triste, in tono con l’ambientazione; il “personale” continua tranquillamente a brucare l’erba bagnata dalla pioggia e solo ogni tanto solleva la testa per avere la certezza che non ci siano guai in arrivo.

Benvenuti nell’area industriale di Ottana, dove mezzo secolo fa fiorirono sogni e speranze in formato industriale, dove periodicamente vengono sventolate nuove prospettive di sviluppo. E dove, nel 2022, il numero di bestie al pascolo tra edifici dismessi e terreni brulli supera di gran lunga quello degli umani impiegati.

Metà mattinata, metà settimana di una settimana qualsiasi. Lungo le rete viaria che si dirama su entrambe le sponde del Tirso si possono percorrere chilometri senza incrociare anima viva. Sono circa 400 gli ettari interessati dall’area industriale, ricadenti in gran parte nei comuni di Ottana e Bolotana, e con un piccolo sconfinamento nel territorio di Noragugume. Di questo insediamento quasi completamente abbandonato, nel quale sopravvive ormai solo una manciata di aziende, si è tornato a parlare di recente: dopo un lungo silenzio, in questo momento sono addirittura due i progetti in rampa di lancio.

Da un lato c’è la proposta di Ottana Energia di installare nella centrale termoelettrica un impianto a motori endotermici alimentati a gasolio e a gas naturale, che fa storcere il naso a qualche politico e che ha visto l’immediata opposizione di ambientalisti e comitati di cittadini. Dall’altra la possibilità di entrare a far parte della piccola galassia di siti nei quali verranno posizionate le “mega batterie”, ovvero gli accumulatori elettrici, teoricamente del tutto “green”, per i quali il tasto start è stato collocato nel 2024. Praticamente dopodomani.

Oggi però la situazione è quella che gli abitanti di questa zona così centrale eppure così isolata della Sardegna conoscono da anni: delle 2700 buste paga emesse negli anni Settanta ne sono rimaste poco più di 300, oltre l’indotto, sparpagliate qua e là nelle circa 30 aziende che hanno attualmente sede nel polo industriale di Ottana. Quasi la metà sono emesse dall’Antica Fornace Villa di Chiesa, dinamica realtà che produce guarnizioni industriali di gomma: lo si capisce a occhio nudo, perché tra gli scheletri di capannoni e le strade deserte, il piazzale antistante la sede della Afvc è l’unico invaso di automobili, l’unico nel quale la presenza umana supera di gran lunga quella degli animali.

Già, gli animali. Tutto intorno all’area industriale è un brulicare di allevamenti, ma se si considera la vocazione agropastorale del territorio non si tratta affatto una sorpresa. Colpisce molto di più, semmai, la presenza quasi capillare di pecore, capre, mucche, cavalli: molti degli spazi all’aperto tra i capannoni sono ormai meta abituale di greggi più o meno grandi, che hanno la possibilità di passeggiare indisturbati trovando grande quantità di erba fresca e incolta. Non è raro vedere porzioni di stabili o addirittura qualche capannone riadattati come ovili o stalle. Come dire: là dove lo spazio non viene utilizzato, è naturale riempire quel vuoto con qualcosa che sia davvero produttivo. E così alcuni cavalli abitano sotto una comoda veranda con tanto di prato a disposizione per le sgambate, mentre una decina di capre può trovare riparo al piano terra di un edificio, con una passerella di ferro come riparo per le uscite all’aperto.

Vagando tra i vari settori, alcuni vuoti ma ancora tenuti decorosamente, altri completamente fatiscenti, la costante immagine di sfondo è rappresentata dalle due ciminiere simbolo di quest’area. È proprio là sotto, nell’ex Enichem poi Ottana Energia, che secondo le prime informazioni filtrate verrebbero collocati i maxi-depositi di energia. A livello occupazionale una secchiata, se non proprio una piccola goccia, in un mare fatto di vecchie promesse e crepe più recenti.

Come quelle, enormi, lasciate a cavallo del 2000 da un’operazione costosissima ma assai promettente, anche perché alternativa alla chimica: si chiamava Contratto d’area, prevedeva attraverso un’iniezione da 167 milioni di euro l’insediamento di una trentina di nuove aziende e la creazione di qualcosa come 1300 posti di lavoro. Un buco nell’acqua, nei fatti, perché tra truffe e progetti fantasma quasi metà di quei soldi svanì nel nulla lasciando nella piana di Ottana scatole vuote, ruderi e rimpianti.

Risalgono proprio a quell’epoca alcuni dei capannoni che oggi fanno da quinte al teatro dell’immobilismo. Dove anche la segnaletica stradale è consumata dal tempo e dalle intemperie, e dove a tratti si ha la sensazione che gli unici spettatori di questo sogno industriale tramontato da tempo siano le bestie che vi pascolano. Anche il “capo settore” a quattro zampe, terminata la scondinzolata di benvenuto, dà un’ultima annusata e torna al suo lavoro. Per lui e il suo gregge è già ora di rincasare.
 

Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage

URL originale: Read More