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Le note aromatiche di un vino. E le note di una canzone. Sensazioni che si inseguono e insinuano correndo veloci come le dita della mano sulla tastiera di una chitarra alla ricerca del riff perfetto. O di quello più coinvolgente. Coinvolgente come il progetto vitivinicolo di Giuseppe Pocobelli: una laurea in enologia e viticoltura, due ettari di vigne poggiati su fondo calcareo in territorio di Usini, produzione da circa 3mila bottiglie, una passione ardente per il vinificare che ben si sposa – in pieno e armonico contrasto – all’estro d’artista e al carattere di “Gippo”. Gippo e la sua chitarra sono profili ben noti dello skyline musicale made in Sassari e Sardegna. Un sapore grunge rimanda a Seattle, sa di flanella, profuma di blues e non disdegna il pop e l’indie quasi come fosse un vino dal ricco bouquet. Una lunga militanza nella band Primochef del Cosmo, numerose collaborazioni, un amore per la musica che dal palco lo porta anche retro palco, fra Tumbao e Abetone, locali in cui accompagnato dal “collega” Andrea Mura, ha dato spazio e voce ad artisti (affermati e non) nel segno della ricerca e dell’originalità della proposta. «Faccio sempre quello che mi salta in testa, anche con il vino. Ho studiato enologia, ma sono molto affascinato dall’aspetto dei vini naturali: ciò detto, non voglio avere le mani legate e vivo il vino in maniera artigiana – spiega Giuseppe Pocobelli –. Mi è capitato di fare un vino diverso come Signorguì, senza solfiti lieviti e correzioni. L’ho imbottigliato, è stato un esperimento, mi è piaciuto, ne farò altri. La bellezza del vino è anche fare vini che mutano nel tempo: il prodotto di partenza è l’uva, è un prodotto naturale, ogni anno è diversa, impossibile fare vini standard». Ricerca. Originalità. Parole che danzano fra una dimensione e l’altra, fra produzione musicale e produzione vitivinicola. Ha una compagna e due bambini, Giuseppe Pocobelli (1973). Suo padre Guido – grande e mite uomo di calcio -, arrivava da La Maddalena. Ha anche sangue croato nelle vene, Gippo. Una miscela che plasma il progetto: due rossi e un bianco, nomi forti e intrisi di significato (Tadija, Signorguì, Lisamarì), etichette mai banali e proposte particolari ma ancorate alla tradizione del vinificare. Tadija è il nome del bisnonno croato di Giuseppe Pocobelli, che proprio su un’isola della Croazia coltivava la sua piccola vigna e faceva il suo vino. È un cagnulari Igt Isola dei Nuraghi che sgorga da vigne di Usini a basse rese, mostra all’assaggio evidenti e riconoscibili note speziate e richiama alla prugna selvatica e alle bacche rosse. Un insieme armonico, che riscalda con la sua freschezza ma non annoia. Lisamarì nasce nel 2017 e porta il nome di sua figlia, Lisa Maria. Un bianco Igt Isola dei Nuraghi, classica tipologia di vermentino ottenuto su terreni calcarei dell’agro usinese. Note floreali e di frutta, buona freschezza e buona acidità. Signorguì è un rosso Igt Isola dei Nurghi, ottenuto da uve di varietà autoctone della zona. La dedica di Giuseppe Pocobelli è per il suo secondo figlio, Guido. Le tre capre bendate sulle tre etichette? «Guardano tutte dall’isola verso il mare, e viceversa. L’isola croata da cui viene parte della mia famiglia e l’isola della Sardegna. Tadija (bisnonno) rappresenta il mio orizzonte generazionale più lontano, mentre Lisamarì (figlia) rappresenta quello più prossimo. Perché le capre? Uno dei simboli della Croazia è la capra, che insieme Giancarlo Sechi, grafico che mi ha aiutato nel processo di scelta delle etichette, abbiamo ricollegato all’idea di Sardegna coprendo gli occhi con una benda». Dove trovare i vini della cantina Pocobelli? Presso enoteche specializzate e vinerie del nord Sardegna.
 

Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage

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