Il 26 aprile 1923 si compie uno dei momenti più discussi e controversi della storia isolana del secolo scorso: l’adesione del Partito Sardo d’Azione al fascismo. È però l’anno prima che il movimento, nato nelle trincee della Grande Guerra e diventato partito subito dopo il rientro dei soldati dal fronte nel 1918, imbocca la strada che per tutto il Ventennio mussoliniano non gli consentirà di trovare la via d’uscita dalle maglie della dittatura. Bisogna dunque tornare indietro di qualche mese, al fatidico 27 ottobre 1922, per capire questo importante capitolo di storia sarda. Il 1922 è l’anno della Marcia su Roma, il momento in cui il fascismo prende per la prima volta il potere che, di lì a poco, diventerà totalitario. Come nel resto d’Italia, anche nell’isola, le decisioni politiche di simpatizzanti e oppositori ruotano attorno a Mussolini e alla crescente egemonia del fascismo. È in quel clima e attorno alla figura di uno dei politici allora più influenti e, in pochissimo tempo, più ostacolati ed ostracizzati, che si concentra “Paolo Pili. Memorie di un sardofascista” (editrice Edes) l’ultimo libro dello storico seneghese Mario Cubeddu. L’opera mette assieme una serie di memorie inedite di Paolo Pili, scritti raccolti quasi per intero negli archivi custoditi dai nipoti del politico, e un saggio dell’autore che ne rilegge le vicende personali e ne analizza l’ascesa e il rapido declino politico.

Il dopoguerra
Come già aveva fatto nella sua opera autobiografica “Grande cronaca, minima storia”, Paolo Pili dedica ampio spazio nelle memorie al rapporto con Emilio Lussu e le altre grandi figure del sardismo delle origini come Camillo Bellieni, ma nei suoi pensieri trovano spazio riflessioni anche su Antonio Gramsci. Bisogna però partire dall’analisi della Sardegna del 1918, per capire perché il Partito Sardo d’Azione prenderà la strada della fusione col fascismo. Per Paolo Pili, nemico acerrimo delle consorterie politiche dell’epoca liberale ritenute responsabili dell’arretratezza economica e sociale dell’isola, avendola relegata a un ruolo di subalternità rispetto all’Italia, la prima guerra mondiale fu una battuta d’arresto: «Tutta la giovane Sardegna era sardista perché ancora non infiacchita dal veleno partitico continentale». È nell’humus politico che si crea al rientro dei soldati dal fronte, che il sardismo germoglia, tanto da attirare le attenzioni di Antonio Gramsci che, qualche anno dopo, lo indicherà come l’unico movimento capace di mobilitare il vero proletariato ovvero le masse contadine, la classe sociale più povera di tutta l’Italia.

Capo del sardismo
Sarà Camillo Bellieni a notare Paolo Pili, che si era messo in luce proprio nell’organizzazione dei movimenti combattentistici dei reduci sotto le insegne della bandiera dei Quattro Mori. È sempre Bellieni a individuarlo come guida per il partito e a garantirgli l’investitura, tanto che il 23 gennaio del 1922, durante il secondo congresso a Oristano, viene nominato direttore del Partito Sardo d’Azione. In quegli stessi mesi, si affaccia in maniera prepotente sulla scena il partito fascista che, nei primi anni di vita, era rimasto ai margini della vita politica italiana, guardato sin lì con poco interesse dagli elettori. È proprio col fascismo che il sardismo inizia nel ’22 un confronto serrato. La fusione è prossima temporalmente, ma in quell’inizio anno del tutto imprevedibile. Lo stesso Pili, che aveva appena portato il PSd’A – la zeta nella sigla arriverà dopo – alla cifra storica di 35mila iscritti, si schiera contro il fascismo, pilotando scontri di piazza.

La fusione
Tutto cambia con la Marcia su Roma e con Mussolini che prende il potere, ancora democratico prima delle elezioni farsa degli anni successivi. È in quel momento che, ricorda Pili, si fa strada «l’idea di trovare un accordo tra PSd’A e PNF», la quale «nasce dall’insostenibilità della contrapposizione violenta con un fascismo sardo sempre più aggressivo» e che ormai trovava sostegno tra i tanti che, inizialmente, l’avevano snobbato o addirittura detestato, ma che poi non avevano tardato a salire sul carro del vincitore. Il Partito Sardo si trova davanti al bivio e decide di trattare. La scelta era tra il restare avvinghiati dal giogo delle vecchie e osteggiate consorterie politiche e il tentare di innestare il sardismo nel fascismo, ritenuto più adatto per arrivare a ottenere le rivendicazioni che la Sardegna faceva proprie da anni.

Quelli tra l’ottobre 1922 e l’aprile 1923 sono mesi cruciali. Emilio Lussu è in prima fila nelle trattative con il generale Asclepia Gandolfo per arrivare alla fusione. Pili e Lussu si trovano sulla stesse linea di pensiero, anche se, alla fine, Lussu cederà il passo e manderà in avanscoperta Pili, il quale condurrà la fusione con il parere favorevole di tutto il congresso sardista. A guidare i sardofascisti sarà quindi il politico seneghese, il cui incarico durerà sino al 1926, ma sotto le nuove insegne politiche.

Pili e Lussu
L’attenzione di gran parte del saggio storico è catalizzata proprio dal rapporto tra Paolo Pili ed Emilio Lussu, prima amici poi rivali politici. Di lui Pili scriverà: «Posso dire ad alta voce, di aver avuto sempre il coraggio di salvare chi era in pericolo, anche quelli che, come Lussu, mi avevano abbandonato e criticato dopo avermi costretto ad assumere gravi responsabilità, spesso in contrasto, con la mia volontà. Mi ha girato le spalle, ma io non ho mai cessato di volergli bene». Si legge tanta amarezza in queste parole, non le uniche dedicate all’amico e guida politica di un tempo. Ma le memorie di Paolo Pili e il saggio di Mario Cubeddu vanno oltre. Assai interessante è la ricostruzione delle azioni politiche, sempre improntate, sino alla caduta in disgrazia del 1926, al benessere della classe contadina. La nascita della Fedlac, la federazione dei produttori lattiero caseari, fu tanto osteggiata dagli industriali e fu uno dei motivi che portarono alla rimozione di Pili. Ci fu poi il risultato storico del “miliardo”, il finanziamento che il governo garantì alla Sardegna per farla uscire dal suo stato di arretratezza. E ancora il viaggio negli Stati Uniti per ampliare il mercato del latte. Azioni che passarono in secondo piano, offuscate da quell’appuntamento con la storia del 26 aprile del 1923.

Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage

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