Il 9 maggio è la Giornata dell’Europa, istituita per ricordare la dichiarazione con cui in quello stesso giorno del 1950 il ministro degli Esteri francese Robert Schumann propose la costituzione della Ceca, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, che diede avvio al processo di integrazione europea. Peraltro il 9 maggio ricorre anche l’anniversario della fine della seconda guerra mondiale con la resa incondizionata della Germania hitleriana alle potenze alleate.

Una data celebrata da sempre a Mosca come la vittoria della grande guerra patriottica, che costò alla Russia oltre venti milioni di vittime. In entrambi i casi il 9 maggio, fino ad oggi, è stata occasione di festeggiamenti. Non sarà così quest’anno, mentre una guerra sanguinosa e feroce scuote il continente europeo, suscitando in ogni cittadino l’interrogativo se un’Europa libera finalmente da guerre non sia stato un lungo sogno interrotto da un terribile risveglio.

Certo le immagini terribili dei massacri di Bucha, Irpin, Kramatorsk richiamano alla mente le Fosse Ardeatine, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema e le tante altre stazioni di una terribile via crucis di sangue e dolore. Così come le lunghe file di profughi e sfollati che fuggono per mettere in salvo la propria vita, nonché gli edifici devastati da feroci bombardamenti, riportano alla mente immagini ed eventi di un tempo che si credeva archiviato per sempre.

La guerra è tornata a devastare l’Europa e le moderne modalità di comunicazione ce ne rendono protagonisti. Soprattutto ci rendono consapevoli che quel «nulla sarà più come prima» evocato di fronte alla pandemia vale a maggior ragione di fronte alla guerra russo-ucraina. E l’obiettivo di queste ore deve continuare a essere la cessazione delle ostilità militari e una tregua che apra la strada ad una soluzione politica. Un compito che richiama la responsabilità e il ruolo dell’Unione Europea che fin dalla sua nascita è attore di stabilità, pace e sicurezza.

La drammaticità della guerra ha offuscato infatti un dato rilevante. Il conflitto russo-ucraino – come precedentemente le guerre nei Balcani e nel Caucaso – sono esplose nelle regioni europee “esterne” all’Unione Europea. Là dove c’è l’Unione, non ci sono state guerre, né se ne profilano. Là dove l’Unione non c’è, aspri conflitti bellici sono esplosi investendo la sicurezza e la stabilità dell’intero continente. È la conferma che il processo di integrazione europea e i suoi valori sono il più forte e unico antidoto all’esplosione traumatica dei conflitti, rappresentando il contesto e lo strumento per una crescita civile, economica e sociale fondato su convivenza, cooperazione e integrazione.

Ma l’Unione europea che abbiamo conosciuto fin qui non ci basta più. Dopo l’Europa dei padri fondatori e l’Europa dell’euro, è indifferibile il varo di una vera e propria “terza fase” dell’integrazione europea che persegua e realizzi scelte non più dilazionabili: la riforma dei meccanismi decisionali, superando la gabbia dell’unanimità; il completamento dell’allargamento, con l’integrazione di Balcani, Ucraina, Moldavia e Georgia; l’adozione di una politica estera assertiva accompagnata da un sistema europeo di difesa e sicurezza; il completamento del mercato unico, con l’armonizzazione fiscale e delle politiche di investimento; l’Unione energetica per guidare la transizione ecologica e governare gli impatti ambientali; politiche sociali capaci di riqualificare ed estendere politiche di welfare e di protezione sociale. Scelte impegnative che solo potranno essere assunte con coraggiosa revisione dei Trattati costitutivi. Proprio Covid 19 ci ha dimostrato che sotto l’incalzare dell’emergenza, l’Europa – grazie ad una forte azione di impulso di Francia, Germania e Italia – è stata capace di varare Next Generation Eu, emettere i primi eurobond, attivare strumenti finanziari per le imprese, mettendo a disposizione degli Stati membri centinaia di miliardi di euro. Così di fronte alla aggressione russa all’Ucraina, l’Unione europea è stata capace di una coesione e solidarietà che non ha precedenti, con l’assunzione di decisioni forti e condivise.

Serve oggi la stessa determinazione convocando una Convenzione costituente che realizzi le riforme proposte dalla Conferenza sul futuro dell’Europa – che proprio il 9 maggio concluderà i suoi lavori – e disegni la nuova architettura istituzionale e politica dell’Unione europea, mettendola così nelle condizioni di soddisfare le aspettative dei cittadini e di essere protagonista della vita del mondo.

 

Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage

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