Sono arrivati da Berkeley, Tubinga, Heidelberg, Praga. Trenta tra i più importanti studiosi di tutto il mondo delle civiltà egee e nomi importanti dell’archeologia isolana, si sono dati convegno a Oristano dal 9 al 15 per «Ripercorrere i sentieri di un pioniere dell’archeologia dell’Egeo», come recita il titolo dell’incontro voluto dal Centro Internazionale per la Ricerca sulle Civiltà Egee “Pierre Carlier”, il Comune di Oristano e la Fondazione Oristano e l’Università di Sassari.

Al centro delle giornate non solo il “pioniere” ma una personalità leggendaria dell’archeologia a 200 anni dalla morte: Heinrich Schliemann. L’avventuroso “dilettante” che fu in grado di scoprire la mitica città di Troia, la tomba di Agamennone a Micene, il Tesoro di Priamo e dare corpo reale all’epica di Omero.

Il dilettante coraggioso. Umberto Pappalardo, professore di Archeologia all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, direttore del Centro Internazionale di studi pompeiani e autore di alcuni studi su Schliemann e sui suoi rapporti con l’Italia, è lo studioso che ci può descrivere meglio la sua figura. «Un uomo di intelligenza straordinaria, nato da una famiglia poverissima e capace di diventare uno degli uomini più ricchi della sua epoca – spiega Pappalardo –. Un viaggiatore senza confini, che in ogni luogo doveva avere sempre a disposizione i maggiori quotidiani mondiali per controllare le sue azioni in borsa». Anche un miliardario con pochi studi, affascinato da Omero fin da bambino e osteggiato dall’Accademia. «Impara numerose lingue però, studia archeologia, antropologia, geografia alla Sorbona, ma brevemente. È sul campo che da il meglio di sé – continua il professore –. La sua missione è scoprire Troia. Nel 1896 si getta negli scavi a Itaca alla ricerca di qualche segno ma i suoi metodi vengono aspramente criticati e lui umiliato dagli archeologi. E qui Schliemann non si comporta da dilettante, anzi. Capisce lo sbaglio e chiede il sostegno degli esperti per continuare gli scavi con il metodo più razionale della stratigrafia. Inoltre diventa pioniere degli studi interdisciplinari. Scoprendo l’ambra a Micene si rivolge a un petrografo che rivela che proviene dal Baltico, scoprendo così le vie del commercio dell’ambra. In Egitto coinvolge specialisti forensi per ricostruire i volti delle mummie incrociando i dati delle immagini con i teschi. Insomma, uno studioso immerso nel positivismo della sua epoca, tutt’altro che il dilettante improvvisato con grandi mezzi».

La maschera del re. Tra le ombre da chiarire c’è anche l’accusa che lo vuole falsario, autore per beffa della maschera di Agamennone. «Già da qualche anno alcuni ricercatori sostengono che i baffi e l’acconciatura della maschera ritrovata a Micene siano troppo ottocenteschi – spiega Pappalardo –. Personalmente non lo credo, non vedo la motivazione, Heinrich Schliemann era già famoso e riconosciuto da tutti dopo la scoperta di Troia, non aveva bisogno di rivalsa o di beffare nessuno. Inoltre era ricchissimo, ricompra, pagando tre volte tanto il prezzo, il tesoro di Priamo dal governo turco che intendeva sequestrarglielo, accusandolo di aver violato i patti. Tesoro che poi donerà al popolo tedesco, mentre quello di Micene lo donerà invece al popolo greco».

Bronzetti e nuraghi. Il convegno di Oristano e i recenti studi collegano sempre più la civiltà nuragica con quelle del Mediterraneo orientale. Nel convegno Momo Zucca ha ricordato i viaggi che Schliemann fece nell’isola. «Il primo in Sardegna a Cagliari è del 29 maggio 1864, si inserisce nel suo viaggio intorno al mondo che la sua insaziabile curiosità l’aveva spinto a fare – dice l’archeologo Momo Zucca –. Durò dal 7 maggio 1864 al 10 febbraio 1866, perché Schliemann voleva “vedere ancora un po’ di mondo prima di dedicarmi completamente alla realizzazione del sogno della mia vita” cioè la scoperta di Troia, scrive nel suo diario. Un desiderio nato nell’infanzia leggendo il libro sulle vicende omeriche regalatogli dal padre per Natale. Nel 1864 in viaggio verso la Tunisi fa tappa a Cagliari». Nel capoluogo sardo è già attivo, dagli inizi del secolo, il Regio Museo di Antichità. «Sì, era ospitato nel quartiere di Castello nel palazzo Belgrano – conferma Zucca –. Era diretto dal naturalista Gaetano Cara con anche limitate competenze archeologiche. Sulla sua figura si addensarono delle ombre per alcune vendite poco chiare a musei e case d’asta straniere. Oltre al suo coinvolgimento nella vicenda della vendita al Museo di Cagliari di centinaia dei famosi falsi idoli sardo-fenici. “L’immensa quantità di statuette e monete feniciane”, è annotata con ammirazione sul diario di Schliemann, oltre gli “stretti fogli d’oro e d’argento”, nei quali riconosciamo i porta-amuleti fenici di Tharros. Oltre queste brevi note gli interessi di Schliemann per la Sardegna si fermano qui, per riaccendersi anni dopo, nel dicembre del 1880, quando inizia la ricerca “di un catalogo dell’interessantissimo museo di Cagliari”. La ricerca non sarà facile – racconta Zucca – e solo dopo qualche tempo, a maggio, finalmente arrivano i volumi. Servivano a Schliemann per completare il suo libro “Ilios. La scoperta della civiltà omerica”. Ma secondo il ricercatore tedesco: “Sventuratamente vedo che le antichità della Sardegna sono di molti secoli posteriori a quelle di Troja, per modo ché non potrei trarne molta utilità per la scienza”. Il secondo viaggio, quello del 1886 è ancora tutto da indagare perché proprio i suoi diari di quell’anno sono andati distrutti durante la guerra. Abbiamo comunque ritrovato le notizie date dal giornale sardo L’Avvenire sulla sua visita. Un viaggio che sembra motivato dalla voglia di conoscere meglio la storia sarda. Comunque Schliemann sfiora più volte le similitudini tra la civiltà micenea e la Sardegna, non si accorge della tholos con cui sono costruiti i nuraghi, per esempio».

Su una cosa Pappalardo e Zucca sono d’accordo: «Se Schliemann avesse visto solo una piccola parte dei numerosi reperti che collegano la civiltà nuragica alle civiltà del Mediterraneo orientale, l’isola sarebbe stata teatro delle sue ricerche e dei suoi scavi».

Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage

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