SODDÌ. Una piccola banda di tre persone, arrivate da non troppo lontano. Sapevano di trovare qualche soldo. Speravano forse di andare via con un gruzzolo più grosso, invece fuggirono con un bottino miserevole di circa duecento euro e un morto alle spalle. A quattordici anni di distanza dal delitto, l’indagine sull’omicidio dell’86enne Giuseppino Carboni conosce una nuova svolta. Il pensionato morì, dopo essere stato legato e imbavagliato, al termine di una rapina commessa il 22 giugno del 2008 nella sua casa di via Ghilarza, una specie di carbonaia che usava come dimora.

A oltre dodici anni da quel giorno, nell’autunno del 2020, era stato indagato e anche sottoposto a misura cautelare Mirko Marteddu, 41 anni di Orotelli. Gli inquirenti salutarono la riapertura del caso come un gran successo, ma non si sono fermati. Ora la procura sembra infatti aver imboccato anche la pista che porta all’individuazione dei suoi complici. Sul registro degli indagati, il pubblico ministero Valerio Bagattini ha iscritto già da qualche tempo altri due nomi: sono quelli di Sandro Locci e Salvatore Argiolas, entrambi compaesani di Mirko Marteddu. La banda veniva quindi da Orotelli e le sue modalità di azione sono molto simili a quelle di altri delitti simili commessi in quel periodo in Sardegna, non ultimo un caso analogo a quello di Sossì che però ebbe come teatro Tresnuraghes.

Per gli inquirenti era chiaro sin dal primo momento che ad agire non fosse stata una sola persona, ma un gruppo ben affiatato e poco incline alla pietà verso le sue vittime. Le prime indagini non portarono però sviluppi immediati, tanto che Il caso sembrava destinato a rimanere sepolto in qualche archivio e a diventare un omicidio irrisolto. Invece, grazie a un’impronta palmare rilevata dodici anni dopo e grazie ad altri riscontri, in particolare sull’uso del telefono, la Squadra mobile della polizia riuscì a portare all’indagine nuovi elementi.

L’impronta fu attribuita proprio a Mirko Marteddu, che intanto ha lasciato il carcere – è difeso dall’avvocatessa Caterina Zoroddu –. Dal suo nome, ricostruendo soprattutto una serie di contatti telefonici e le celle agganciate dai telefonini, gli inquirenti sono arrivati ai nomi degli altri due sospettati che, però, non sono mai stati colpiti da misura cautelare e sul caso non hanno mai detto una parola nel momento in cui sono stati interrogati – le difese sostengono che non ci sia il minimo elemento per collegare i loro nomi al delitto –. È una tesi opposta a quella della procura che ritiene che su Sandro Locci, assistito dall’avvocato Francesco Lai, e su Salvatore Argiolas, difeso dall’avvocato Antonello Spada, ci sianno comunque degli indizi importanti. È per questo che nei giorni scorsi è stata richiesta anche una proroga dell’indagine, nella convinzione di riuscire a chiudere il cerchio. Il principale elemento che ha portato sulle loro piste è un telefonino che, la sera della rapina finita in tragedia, riceve una chiamata e aggancia proprio la cella di Ghilarza. Per procura e polizia è uno dei segnali della presenza di uno due indagati sul luogo del delitto. Quattordici anni dopo, la verità sulla fine di Giuseppino Carboni deve essere ancora scritta e la direzione che prenderanno le indagini si capirà meglio nei prossimi mesi.

Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage

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