Nomi altisonanti, piatti che evocano magiche atmosfere. Chi legge i menu dei pranzi che si consumavano a bordo dei transatlantici degli Anni Trenta che viaggiavano verso le Americhe, rimane impressionato anche dal numero di piatti proposto durante ogni servizio. Scorrendo i menu illustrati da Edina Altara e Vittorio Accornero, in mostra fino alla fine di giugno nella Pinacoteca nazionale di Sassari, vediamo che il format è più o meno sempre lo stesso: in apertura, dopo eventuali antipasti ci sono le zuppe e prima non manca mai il “consumato” o “ristretto”, la minestrina, con la pastina o con fidelini. Il termine “consommè” non si poteva usare, ordine del duce.

01_WEB

Poi a seguire i piatti di pesce, le carni, i piatti freddi, i legumi e infine il dessert, pardon, il dolce. La mostra, molto interessante sia dal punto di vista artistico che gastronomico, è una occasione da non perdere.

Dopo l’inaugurazione è stato possibile degustare un menu servito a bordo della nave Rex, reinterpretato da Cristiano Andreini (che al ristorante Liberty proporrà il menu nei giorni di apertura della mostra). All’iniziativa organizzata dalla Pinacoteca nazionale di piazza Santa Caterina e l’Archivio Altara Accornero, hanno collaborato la delegazione di Sassari dell’Accademia italiana della cucina con la partecipazione della Grimaldi Lines della Sardegna e di Sella&Mosca.

Ma torniamo ai menu. La lista dei piatti è spesso molto lunga e perfino ripetitiva. Ma da dove nasce la filosofia di quei menu? Col sorgere dei grandi hotel della metà e fine Ottocento la clientela più ricca organizza nelle sale degli alberghi di Londra, Parigi, Biarritz o Montecarlo feste, ricevimenti, balli. La clientela è costituita da granduchi, ambasciatori, artisti, sportivi. A rendere quegli hotel straordinari per lusso ed eleganza è Cesare Ritz, uno svizzero che da cameriere aveva scalato tutta la scala gerarchica del settore. La grande svolta nell’hotellerie nasce con l’incontro tra Cesare Ritz e Auguste Escoffier, genio assoluto della cucina. Auguste era nato a Villeneuve Loubet, un villaggio a 15 km da Nizza, e dal punto di vista etnografico, più ligure che francese. Era figlio di un fabbro, ma era troppo gracile per fare i lavoro del padre e per questo è stato avviato a lavorare nella cucina dei una locanda di un parente. Tanta gavetta e poi, come Ritz, numero uno nel suo campo, Ritz, nel frattempo, ha portato al successo grandi strutture alberghiere, ma i suoi alberghi hanno un tallone di Achille: le cucine non sono all’altezza della fama degli hotel. Da qui nasce l’esigenza di coinvolgere il migliore chef del tempo: Escoffier. Dall’incontro tra i due nasce la rivoluzione nella ristorazione alberghiera. Escoffier inventa un’organizzazione simile a quella delle catene di montaggio: ciascun lavoratore ha un ruolo preciso e diventa il pezzo di un ingranaggio complesso che deve assicurare, in poco tempo, la migliore efficienza e i migliori profitti. Oggi tutto questo forse non sarebbe reale, ma quel modello di lavorazione è ancora applicabile. Non è un caso se i menu dei grandi transatlantici degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso erano firmati da chef che avevano studiato da Escoffier o che avevano lavorato al Savoy di Londra o in altre strutture della prestigiosa catena Ritz.

Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage

URL originale: Read More