Django l’ha fatto conoscere in tutto il mondo, l’ha fatto diventare una star, tanto che ancora oggi, nei suoi progetti, c’è un sequel del mitico film datato 1966. Ma lo spaghetti western di Corbucci è soltanto una delle tappe della carriera stellare di Franco Nero. Basta scorrere la pagina di Imbd, la bibbia on line del cinema, per scoprire che alla sua voce corrispondono 240 film. A 80 anni Nero può essere considerato uno degli ultimi divi. Di quelli che però non si sono fatti fagocitare dallo star system, mantenendo quelle semplicità e consapevolezza che gli hanno permesso di vivere da protagonista il cinema mondiale. E su questa carriera, unica e inimitabile, l’attore, insieme a Lorenzo De Luca, ha scritto un libro, “Django e gli altri. Molte storie, una vita”, edito da Rai Libri.

Nero, come nasce l’idea di raccontarsi in questo libro?
«Io non ci avevo mai pensato, me l’ha chiesto la Rai. Purtroppo non mi hanno dato molto tempo, da dicembre a marzo. Per raccontare la mia vita ci vorrebbero dieci romanzi. Questo lo considero un piccolo assaggio».

Racconta delle sue origini, del suo sangue zingaro, di un’Italia che stava rinascendo: che ricordi ha di quegli anni?
«Ho avuto la grande fortuna di nascere in mezzo ai contadini. Dal paese in cui sono nato, San Prospero Parmense, mi sono spostato prima in una cittadina più grande, Fidenza, e poi in un’altra, Bedogna. Quando sono arrivato a Parma mi sembrava una metropoli. Milano e Roma sono arrivate solo dopo. È stata una cosa graduale. E questo mi ha permesso di rimanere sempre a contatto con la natura. E di tutto ciò ancora adesso ne prendo vantaggio».

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Esordì come cantante: ha mai ripensato a quella carriera mancata?
«Ai tempi cantavo perché mi divertiva. Sono anche intonato: questo mi ha permesso di essere scelto a Hollywood per il musical “Camelot”. E ancora oggi mi diverto a cantare. Con Lino Patruno ci siamo inventati una orchestrina e facciamo tante serate. L’ho portato a New Orleans».

Il debutto al cinema con “La Bibbia” di John Huston: vinse anche la concorrenza di Paul Newman.
«Dino De Laurentiis aveva la mania delle star. Lui voleva Marlon Brando e Paul Newman per Caino e Abele. A mio avviso sbagliatissimi per quei ruoli. Ma Huston che mi aveva scelto gli disse “non rompere” e si impose».

Fu allora che De Laurentiis voleva che prendesse come nome d’arte Castel Romano.
«Lui abitava in via Castel Romano e insisteva perché scegliessi quel nome. Mi misi a piangere dalla disperazione».

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Alla fine Francesco Sparanero diventò Franco Nero. E in quello stesso anno arrivò il successo di Django. Ma le riprese non furono per nulla facili.
«Avevamo fatto una scena il giorno prima di Natale. Poi ci siamo fermati: non c’erano né soldi né copione. Durante le vacanze Sergio Corbucci e il fratello Bruno fecero una scaletta delle riprese e firmarono per una coproduzione spagnola. Dopo l’Epifania girammo pochi giorni in Spagna e poi tornammo a Roma e dintorni. Era gennaio, c’era freddissimo. Ricordo che mi buttarono nelle sabbie mobili e mi dovetti curare con lo spirito…».

Niente controfigure?
«Macché. Non c’avevano una lira».

Ma “Django” è diventato un successo planetario.
«Tutto il mondo lo conosce: Django non muore mai. Vorrei tanto fare un altro sequel, “Django vive ancora”. Stiamo lavorando alla sceneggiatura, spero di realizzarlo quest’anno».

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Oltre “Django” ha fatto film in ogni parte del mondo. A tal proposito lei cita Laurence Olivier, che le disse: “puoi fare la star, girare un film all’anno da protagonista e sperare che vada sempre bene, oppure puoi fare l’attore e divertirti”.
«Ho seguito il suo consiglio. Se fai un solo film all’anno è monotono e non hai neanche la certezza che vada bene. Invece, quando lavori tanto, tra alti e bassi, alla fine raccogli i frutti».

Il successo la porta a Hollywood e incontra la donna della sua vita, Vanessa Redgrave.
«Noi abbiamo avuto una vita incredibile. Ci siamo lasciati, ci siamo ritrovati: sono 55 anni che stiamo insieme. Le voglio ancora molto bene. È una donna straordinaria: pensi che ora, a 85 anni, malata, è in scena con “My fair lady” a Londra».

Redgrave è da sempre impegnata a sinistra. Lei?
«Io sono più moderato, ma le sono sempre stato vicino, l’ho difesa. Vanessa ha pagato tanto per le sue posizioni. L’America le chiuse le porte. Per fortuna Tennessee Williams e Arthur Miller decisero di non dare i diritti delle loro opere se avessero continuato a boicottarla. È stata aiutata dai grandi intellettuali».

È vero che Steven Spielberg la fece ingelosire?
«Io non lo ricordavo, ma lui me l’ha ripetuto quando è venuto a Roma: “eri geloso perché ballavo con Vanessa” (ride)».

E un giorno Paul Newman le chiese l’autografo.
«Fu incredibile. Newman era il mio mito insieme a Brando. Sentii che mi toccavano la spalla, mi girai ed era lui con la moglie Joanne Woodward. “Posso chiederti un favore: puoi farmi un autografo per mia figlia?”. Non volevo credere alle mie orecchie».

Di Hollywood dice: è una luna desertica in cui spenti i riflettori resta solo la solitudine.
«Hollywood è la città in cui uno si sente più solo al mondo. Si passa la giornata in auto in mezzo al traffico, con file chilometriche. Alla sera è vuota, tutti a dormire alle 9. Poi già alle 7 del mattino stanno parlando di lavoro. Tutt’altro tipo di mondo rispetto alla cultura europea. Hollywood va bene solo se lavori».

In Italia recita per i più grandi registi: Damiani, Petri, Vancini, Montaldo. E nel 1968 gira in Sardegna “Sequestro di persona” di Gianfranco Mingozzi.
«Avevamo base a Olbia e da lì ci spostavamo verso l’interno. Quando mi offrirono il ruolo proposi al produttore di prendere Faye Dunaway. Ma costava troppi soldi. Nel frattempo conobbi una giovane attrice inglese che girava un film con mia cognata, Lynn Redgrave. Mi piaceva molto, la suggerii al produttore che la bloccò al festival di Sorrento. Era Charlotte Rampling».

Lei è stato il primo a interpretare Giovanni Falcone.
«Era il 1985, con Pasquale Squitieri andammo nel suo bunker a Palermo. Era la storia sua e di Buscetta, ma era ancora in vita e lo chiamammo Falco».

Parliamo del rapporto con Quentin Tarantino.
«Giravo un film a Oviedo. Tra i miei figli c’era anche una giovanissima Penelope Cruz, che un giorno va al festival di San Sebastian. Torna e mi dice: “ho incontrato un giovane regista americano che quando gli ho detto che giravo con te è impazzito: lo devo assolutamente conoscere, mi ha detto, è il mio mito”».

L’incontro però avvenne anni dopo.
«A Roma quando venne a presentare “Bastardi senza gloria”, che era un remake del film di Castellari. A Enzo disse: “devi portare Franco a pranzo”. Quando sono arrivato mi ha abbracciato. È pazzo di me, mi ha spiegato, perché quando a 14 anni lavorava in una videoteca ha iniziato a conoscere i miei film, ordinava le cassette da tutto il mondo. E a tavola iniziò a dirmi le battute e le musiche a memoria».

Nel suo ultimo film da regista ha voluto nel cast anche Kevin Spacey: ha avuto coraggio?
«È uno degli attori più grandi della storia che ha sbagliato come sbagliamo tutti noi. Nel frattempo ha già vinto molte cause intentate negli anni. Quando mi è stato proposto ho detto: “perché no?”. Nella vita bisogna sapere perdonare. Non si può essere al pari degli altri, bisogna cercare di ridargli vita e coraggio».

Mohamed Alì. Andy Wahrol, John Wayne, Nelson Mandela, Greta Garbo: tra i tanti personaggi incontrati chi le è rimasto di più nel cuore?
«Ero solo un ragazzo, ma mi è rimasto impresso Padre Pio. Mia madre era di quella zona, San Severo, e andammo a San Giovanni Rotondo con il carretto e l’asinello perché mio fratello soffriva di tonsille. Mia madre presentò noi due figli a Padre Pio. Lui ci prese sulle ginocchia e in dialetto mi disse: “tu sta’ bono”. Poi toccò la gola a mio fratello e da allora non ha più sofferto».

Il prossimo capitolo del libro che non ha ancora scritto?
«Spero di fare il primo film di mio nipote, il figlio di Liam Neeson, che però ha preso il cognome di mia figlia Nastaha (morta, nel 2009 in un incidente sciistico, ndr): Michael Richardson. “Black beans and rice”. Sarà un road movie e ci dovrebbe essere anche Vanessa».

Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage

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