La città-natura non è una chimera inarrivabile, piuttosto una pulsante realtà in divenire, punto di arrivo di un processo di trasformazione territoriale che guarda oltre la città e oltre la campagna per dettare le regole del “Riabitare il territorio”. Riflettendo sull’esperienza della civiltà degli stazzi nell’Alta Gallura – cosa erano e cosa sono diventati – l’argomento è l’oggetto di un importante convegno itinerante tra boschi, aziende, musei d’arte ed etnografici galluresi in programma dal 2 al 5 giugno a cura dell’Università di Sassari – Dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica di Alghero. Il titolo è “Oltre la città e la campagna verso un’inedita città-natura: riabitare il territorio”, a cura di Lidia Decandia, da Calangianus, docente universitaria e fondatrice nel 2008 di Matrica, laboratorio di fermentazione urbana.

La guida per decifrare il percorso dei territori in divenire è un prezioso saggio della stessa Lidia Decandia, appena pubblicato da Donzelli editore. Il titolo è appunto “Territori in trasformazione. Il caso dell’Alta Gallura” e si può anche dire che il seminario universitario itinerante è la naturale esternazione di quell’idea che porta alla città-natura.

Perché proprio l’Alta Gallura è presto detto. Qui è nata e cresciuta la civiltà degli stazzi, microcosmo economico e sociale che nel corso del tempo ha subìto una progressiva trasformazione. La tradizionale abitazione-azienda di campagna, centro di un piccolo mondo antico, oggi è altra cosa: spesso è diventata un agriturismo o un ristorante, in qualche caso una nuova azienda agricola o artigiana che certo non dimentica la propria storia e cultura ma che sa guardare avanti, al futuro. In molti altri casi i vecchi stazzi sono diventati residenze di lusso, seconde case sospese tra mare e montagna, tra passato e presente, tra ambiguità e potenzialità. In questo caso il “riabitare il territorio” rischia di produrre il risultato – inconsapevole, probabilmente – di una nuova Costa Smeralda diffusa in un vasto territorio. Un luogo di esclusione e non certo di comunità. Una deriva commerciale e turistica. Un pericolo, forse, su cui è bene riflettere a cominciare dal seminario promosso dal Dipartimento di Architettura.

Pericoli a parte, l’Alta Gallura con la sua civiltà degli stazzi resta un luogo ideale per studiare le trasformazioni del territorio, il suo divenire nel tempo e nell’anima. È una piccola area interna, inserita in un contesto ultra periferico (almeno, secondo le categorie della Strategia nazionale per le zone interne), “una delle aree meno illuminate del contesto nazionale, che si distende alle spalle del mondo delle luci della città costiera”. Con il seminario (e prima ancora con il saggio), di fronte a tanto materiale, Lidia Decandia raccoglie storie, progetti, osserva luoghi e forme di produzione. Indica dieci esempi di nuovi abitanti degli stazzi. Rileva i movimenti ora impercettibili ora tellurici provenienti dal sottosuolo della storia. Tesse e cuce, direbbe Maria Lai, dando forma a questa figura territoriale inedita: “una ossimorica città-natura in cui il già stato si unisce con l’adesso e in cui si intrecciano indissolubilmente città e campagna, natura e cultura”.

@marcobittau. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage

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