Il suo nome è legato al cabaret, alla televisione, al cinema, anche alla musica con canzoni dai testi improbabili – da “Mi scappa la pipì” a “La puntura” – che a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta hanno scalato la classifica. Pippo Franco, insomma, è cinquant’anni di spettacolo tricolore, buona parte dei quali trascorsi sotto le insegne del Bagaglino di Pingitore. Negli ultimi tempi si è un po’ defilato dalla tv, è inciampato nella vicenda del falso green pass per la quale è anche indagato, ma la passione per il suo lavoro è la stessa di sempre. E il suo prossimo impegno è la promozione del film “Buon lavoro” di Marco Demurtas, risultato di un laboratorio creativo di integrazione, che l’attore romano, classe 1940, presenterà lunedì a Sassari all’anteprima al Cityplex Moderno.

Partiamo da “Buon lavoro”: cosa l’ha convinta a sposare il progetto di Demurtas?

«Il progetto stesso. Il tema è la vita e appunto mi piace cercarla in tutte le sue espressioni. La vita è la più grande opera d’arte mai realizzata, con tutte le sue varietà e difficoltà. Faccio mio quanto detto da Benedetto XVI: la vita è la conoscenza della tristezza, dell’amore e del divino. E questa è la dimensione in cui vivo anche io».

Non è il suo primo film in Sardegna. La prima volta fu nel 1976, “Hanno ucciso un altro bandito”, girato a Santa Teresa, una pellicola di cui esiste una sola copia ritrovata nel 2011. Cosa ricorda di quel set?

«È stato il mio primo film da protagonista. Il regista era americano e io facevo il bandito, Sardu. Ricordo che giravo a cavallo di un asino che faceva tutto quello che gli ordinavo».

Tornò in Costa per “L’imbranato” con Teo Teocoli, Oreste Lionello e Giancarlo Magalli.

«Una esperienza interessante e bella. D’altronde, quel mare lì c’è solo in Sardegna».

Alla regia c’era Pier Francesco Pingitore: come nasce il vostro sodalizio?

«Originariamente io facevo il pittore e il musicista. Suonavo la chitarra in un locale, “Le grotte del piccione” in via della Vite. A un certo punto i locali musicali non andavano più di moda e mi sono messo a fare il cabaret. Nel primo locale c’era uno spettacolo scritto da Maurizio Costanzo con tre attori. Mi esibivo nell’intervallo e cantavo. La prima sera in platea c’era proprio Pingitore, che apprezzò queste mie canzoni. Poco dopo insieme abbiamo aperto il primo Bagaglino in una cantina con Gabriella Ferri».

Nella sua carriera di cantante ha addirittura affiancato Mina…

«Vero, ho girato un musicarello con Mina e Modugno e io facevo parte della sua band».

Negli anni Settanta fa è protagonista della commedia sexy. Un titolo tra tutti: “Giovannona Coscialunga”. Come era Edwige Fenech?

«Non mi piacciono le definizioni commedia sexy, commedia trash. Era un film in cui si raccontava la storia, un po’ boccaccesca, di un uomo. Un giovane come me che di certo non poteva aspirare a una donna come la Fenech. Tutta la commedia ruotava su questo. La Fenech? Aveva sicuramente grande fascino. Il film, comunque, non doveva intitolarsi così. Poi il produttore Luciano Martino optò per “Giovannona Coscialunga”. A me non piaceva per nulla, ma alla fine aveva ragione lui: il successo fu immediato».

Cosa rappresenta per lei il Bagaglino?

«Il Bagaglino è stato tutto. Se non ci fosse stato, nella mia vita non sarebbe accaduto nulla. Siamo partiti da una cantina, poi abbiamo aperto il Salone Margherita doveva in passato c’era stato anche Petrolini. Fu un grandissimo successo, perché stavamo sulla realtà, sulla attualità. E quando arrivò in tv il Bagaglino esplose. Abbiamo determinato un genere, ai tempi il cabaret non era definito. E poi da noi c’erano i balletti, le coreografie e soprattutto la satira politica».

Da “Biberon” a “Creme caramel”, i politici facevano a gara a venire in trasmissione: il più spiritoso?

«Decisamente Andreotti, aveva un senso dell’ironia fuori dal comune».

E il più permaloso?

«Di permalosi non ne ricordo. Pensavo Craxi se la fosse presa perle imitazioni che faceva Zerbinati, ma quando lo incontrai scoprii che aveva gradito senza farlo sapere».

Le storiche primedonne del Bagaglino sono sarde, Pamela Prati e Valeria Marini: si detestavano davvero così tanto?

«È una cosa che non ho seguito. Io incontravo sia Pamela che Valeria sul palcoscenico, queste cose di solito succedono nei camerini. Non escludo nulla ma io questa tensione non l’ho vissuta in prima persona. Pamela e Valeria sono due caratteri diversi ma mi sembrano due persone diversamente sensate».

Tra gli attori della compagnia del Bagaglino, da Montesano a Lionello e Gullotta, con chi aveva più feeling?

«Ciascuno aveva una propria rilevanza, specificità, personalità e tutti quanti contribuivano al successo. Anche perché sapevano che io sul palco davo spazio a tutti. Al Bagaglino c’era una grande aria di armonia».

Oggi chi la fa ridere?

«Non faccio nomi, ma non sono molti. Anzi, quasi nessuno».

Un no di cui si è pentito?

«Non ho mai fatto nulla che non mi appartenesse. Se ho rifiutato un film è perché non lo sentivo mio. Tutto quello che desideravo l’ho fatto. Insomma, non ho cassetti pieni di sogni».

Fonte notizia: La Nuova Sardegna > Homepage

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